L’assegno di mantenimento: qual è il tenore di vita da garantire al coniuge separato?

APS/ febbraio 19, 2011/ Angolo dell'Avvocato

Tra le questioni nodali di una separazione vi è, senza dubbio alcuno, la determinazione dell’assegno di mantenimento che il coniuge economicamente più forte è tenuto a corrispondere al coniuge “debole”.

Questa previsione è disciplinata dall’articolo 156 del Codice Civile il quale prevede che il giudice pronunciando la separazione stabilisca, a vantaggio del coniuge a cui la stessa non sia addebitabile, il diritto di ricevere dall’altro quanto è necessario al suo mantenimento qualora egli non abbia adeguati redditi propri.

Dopo un lungo dibattito in dottrina ed in giurisprudenza, la tesi oggi prevalente è di ritenere che l’assegno di mantenimento debba assicurare al coniuge richiedente un tenore di vita analogo a quello goduto durante il rapporto di coniugio, dove per analogo non deve intendersi esattamente il medesimo stile di vita, ma uno molto simile che tenga conto dell’effetto economico – psicologico successivo ad una separazione. Per il coniuge meno abbiente, infatti, sarebbe molto difficile, specie dopo una vita agiata, trovarsi improvvisamente privo di quelle possibilità che fino al quel momento sembravano acquisite.

La giurisprudenza, per cercare di definire cosa debba intendersi per tenore di vita analogo – ma non identico – lo ha qualificato come quello tale per cui il coniuge separato non debba scivolare in una fascia economico – sociale macroscopicamente deteriore.

La scelta di garantire al coniuge separato un tenore di vita non dissimile da quello goduto in regime matrimoniale, molto criticata da autorevoli commentatori, appare però adatta a tutelare quei casi in cui, per scelta comune, uno dei coniugi rinunci alla propria professionalità e si trovi poi, una volta separato, in difficoltà.

Qualora invece il coniuge destinatario dell’assegno sia dotato di una sua capacità lavorativa propria, anche intrinseca, non più espressa dopo il matrimonio, la stessa dovrà necessariamente essere valutata per il calcolo dell’importo dell’assegno. La somma destinata al mantenimento, sarà progressivamente ridotta in proporzione al reddito che lo stesso coniuge è (o può essere) in grado di produrre.

La valutazione della capacità lavorativa dovrà comunque essere fatta in concreto; non sarà sufficiente possedere determinate capacità o qualifiche (es. diploma o laurea) se poi, a causa dello stile di vita tenuto, tali capacità non sono mai state sfruttate e sono divenute non più utilizzabili. Un lungo periodo di inattività, infatti, può aver compromesso la professionalità fino al punto da rendere ormai impossibile un suo riutilizzo proficuo nel mondo del lavoro. Può infatti avvenire, come accennato in precedenza, che i coniugi concordino la rinuncia al lavoro di un componente della famiglia che si dedicherà alla casa ed alla cura della prole; al momento della crisi del rapporto, specie se avvenuta dopo molto tempo, non è pensabile che il coniuge “casalingo”, anche se in possesso di titolo di studio o comunque di una professionalità, debba essere costretto a rimettersi in gioco, magari ad una età non più giovanissima, e pagare sulla sua persona una scelta fatta di comune accordo con il compagno o la compagna.

Stefano Cera, avvocato della famiglia e dei minori