Il genitore che non provvede al mantenimento commette reato?
Il dovere del genitore di mantenere i figli è espressamente previsto dall’art. 30 della Costituzione, che al comma primo così recita: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”.A fronte di tale dovere l’art. 315-bis c.c., introdotto dall’art. 1 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, sancisce lo speculare diritto dei figli di essere mantenuti, siano essi nati da genitori uniti in matrimonio o meno. Infatti, alla luce dell’evoluzione che ha interessato il diritto di famiglia, e in considerazione dell’avvenuta parificazione dello stato giuridico dei figli, l’obbligo di mantenere la prole trova oggi esclusivo fondamento nel fatto stesso della procreazione e non nel legame giuridico esistente tra i genitori.
L’art. 316-bis del Codice civile, anch’esso di nuovo conio, prevede poi, entrando più nel dettaglio, che il dovere di mantenere i figli deve essere adempiuto da ciascun genitore in proporzione alle rispettive risorse economiche e alla rispettiva capacità di svolgere un’attività professionale o domestica.
Per il caso di inadempimento dell’obbligo di mantenimento da parte del soggetto obbligato, il citato articolo 316-bis stabilisce che chiunque ne abbia interesse può rivolgersi al Presidente del Tribunale al fine di ottenere che una quota dei redditi del soggetto obbligato, in proporzione all’obbligo su di lui gravante, sia versata direttamente in favore di chi sopporta le spese per il mantenimento della prole.
La giurisprudenza non esclude, inoltre, che la violazione del dovere di mantenimento, nonché di quello di istruzione ed educazione, possa dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, là dove si profili l’effettiva lesione di diritti costituzionalmente protetti, come quelli enunciati dall’art. 30 della Costituzione (Cass., n. 5652/2012; Cass., n. 26205/2013).
Ferma restando, pertanto, la sicura rilevanza in sede civile del mancato assolvimento all’obbligo di mantenimento nei confronti della prole, rischia di incorrere anche in una sanzione penale il genitore che faccia mancare al proprio figlio quanto a quest’ultimo spetti a titolo di mantenimento?
La risposta a tale quesito passa attraverso l’analisi di due fattispecie penali previste, rispettivamente, dagli artt. 570 e 570-bis del Codice penale.
Il primo dei citati articoli contempla diverse figure criminose atte a sanzionare la violazione degli obblighi di assistenza familiare. Per ciò che interessa in questa sede, il comma secondo, n. 2), prevede le pene congiunte della reclusione fino a un anno e della multa da € 103,00 a € 1.032,00 per chiunque – non importa se unito in matrimonio o meno – faccia mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, oppure inabili al lavoro. Tuttavia, la norma non sanziona l’inosservanza degli obblighi civilistici di mantenimento. Nella nozione penalistica di mezzi di sussistenza, infatti, la giurisprudenza include soltanto i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio) e quegli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del genitore, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana del figlio (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione) (in tal senso, Cass., n. 12400/2017; Cass., n. 49755/2012).
Non sarà sufficiente, allora, venire meno al generico dovere di mantenere i figli, ad esempio omettendo di versare il relativo assegno in caso di separazione o divorzio. Sarà esposto a sanzione penale soltanto chi, con la propria condotta omissiva, neghi alla prole i mezzi necessari per vivere, così da porla in uno stato di estremo disagio, che il legislatore ha ritenuto meritevole di tutela penale.
Un discorso ben diverso vale per il reato previsto dall’art. 570-bis, introdotto con il d.lgs. n. 21 del 2018. La nuova previsione prevede l’estensione dell’apparato sanzionatorio previsto dall’art. 570 c.p. anche “al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.
Nella sua ampia formulazione, la norma sanziona ogni tipologia di inottemperanza agli obblighi economici nascenti dalla crisi del rapporto coniugale, ivi compreso il mancato versamento dell’assegno periodico per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli. Balza all’occhio la differenza rispetto alla previsione di cui all’art. 570 c.p. Come affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 26993 del 14/05/2019, infatti, mentre il delitto di cui all’art. 570 c.p. si configura allorquando la violazione sia tale da privare il figlio dei basilari mezzi di sussistenza, il delitto di cui all’art. 570-bis ricorre sol per effetto dell’omesso versamento integrale dell’assegno di mantenimento determinato in sede civile nell’ambito del procedimento di separazione e/o divorzio.
È stato sottolineato dagli osservatori come l’intento perseguito dal legislatore delegato nel costruire la nuova disposizione fosse quello di trasferire all’interno del Codice penale, in attuazione del principio della cosiddetta «riserva di codice», le figure prima previste in leggi speciali, oggi abrogate per effetto della novella legislativa, che sanzionavano la mancata somministrazione degli assegni periodici previsti a favore del coniuge e dei figli, a prescindere dalla circostanza che questi ultimi fossero nati dentro o fuori del matrimonio.
Tuttavia, alcune Corti nazionali, poste a confronto con la nuova disposizione, hanno rilevato che la stessa, indicando espressamente come soggetto attivo del reato il solo «coniuge», non comprenderebbe la condotta del genitore nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio; ciò con il rischio che l’introduzione della nuova norma avesse determinato, in realtà, una depenalizzazione delle violazioni poste in essere nei confronti della prole da chi coniuge non è o non è mai stato.
Sul punto è intervenuta in via risolutiva la Corte costituzionale, che con la sentenza n. 189/2019 ha fugato i dubbi esistenti in materia, stabilendo che il nuovo art. 570-bis c.p. abbraccia oltre al fatto compiuto dal «coniuge», anche quello compiuto dal genitore nei confronti del figlio nato fuori dal matrimonio. Tale soluzione, secondo i giudici della Consulta, trova conferma anzitutto nel testo del d.lgs. 21/2018 che, in continuità con la normativa previgente, ha nella sostanza ribadito all’art. 8 l’estensione del contenuto sanzionatorio dell’art. 570-bis ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Del resto, l’applicazione estensiva del delitto in esame risulta essere, secondo il giudice delle leggi, “l’unica armonizzabile con il sistema normativo, univocamente orientato alla piena equiparazione tra la posizione dei figli legittimi e nati fuori dal matrimonio”.
In conclusione, accenniamo a un problema interpretativo posto dall’art. 570-bis c.p. Se nessun dubbio aleggia sulla punibilità di chi ometta di versare integralmente l’assegno periodico ordinario di mantenimento stabilito a favore del figlio, è più che lecito domandarsi se si esponga alla sanzione penale anche chi manchi di contribuire alle spese straordinarie sostenute nell’interesse della prole. Il legislatore ha infatti omesso di elencare in modo puntuale i singoli obblighi contributivi all’inottemperanza dei quali si riconnetta la sanzione penale, preferendo una formulazione ben più generica (“ogni tipologia di assegno”), evidentemente al fine di garantire una più ampia tutela ai beneficiari, tra cui naturalmente i figli. Partendo da tali premesse potrebbe allora opinarsi che anche il rimborso delle spese straordinarie sostenute da uno dei genitori a beneficio del comune figlio rappresenti all’evidenza un tipo di assegno dovuto nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio, e che, pertanto, la mancata rifusione di tali spese nella misura dovuta esponga il genitore trasgressore alle pene stabilite dalla legge penale.
Un intervento chiarificatore al riguardo si è avuto ad opera di una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione. Con la sentenza 16138 del 27/02/2019 la Suprema Corte non ha riscontrato vizi di legittimità e ha, dunque, confermato la sentenza con cui la Corte d’appello di Milano aveva affermato la penale responsabilità di un genitore in ordine tanto all’omesso versamento dell’assegno di mantenimento ordinario, quanto delle somme necessarie a sostenere le spese straordinarie in favore del figlio.
Avv. Stefano Cera
Buonasera sono separato per volere di mia moglie dal 18 nov 19 e di comune accordo con lei abbiamo stabilito che l’assegno di mantenimento per l’unico figlio in affido condiviso non le fosse corrisposto poiché sono stato collocato in quiescenza sulla base della legge sull’inabilità lavorativa, art. 2 legge 335/95. Non potendo dunque implementare la mia pensione di nemmeno un euro mi trovo oggi in una seria ristrettezza economica, avendo lasciato la casa coniugale con tutti gli annessi e connessi da me acquistati in larga parte nel tempo, e dietro la corresponsione di una cifra quasi simbolica quale pagamento della mia quota di proprietà ( 50% ). Con tale piccola somma sto cercando di acquistare un piccolo appartamento di ripiego dove ho già stabilito la mia residenza e dove posso vedere il bambino con regolarità e decenza, offrendo lui vitto, alloggio ed ogni sostentamento in ogni momento in cui lo desidera. Probabilmente indispettita da alcuni miei richiami su comportamenti imprudenti degli ultimi giorni che riguardano la salvaguardia del bambino nei confronti della pandemia in atto, la madre reclama ora il pagamento del mantenimento. Ben consapevole che la legge lo impone ( ma assolutamente in contrasto con una più giusta e completa bi-genitorialità ) mi chiedo se l’importo di tale pagamento può venir sospeso, modificato o addirittura annullato alla luce della mia posizione pensionistica, e dunque economica che deve assorbire vecchi finanziamenti in atto, la rata del mutuo richiesto, e la normale sussistenza delle spese per il bambino al quale non deve mancare nulla, nemmeno a casa del padre. A me sembra un diritto sacrosanto da riconoscere in una situazione particolare, come quella dell’inabilità lavorativa. Spero in una risposta gentile e sollecita, anche in privato. Grazie.