Un po’ di chiarezza sugli ordini di protezione

APS/ maggio 10, 2017/ Da sapere/ 0 comments

Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari sono quei provvedimenti che il giudice, su istanza di parte, adotta con decreto per ordinare la cessazione della condotta del coniuge o di altro convivente che sia “causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente” (art.342 bis c.c.).

Alla base dei provvedimenti ex art. 342 ter, c.c. vi sono due distinte circostanze: la convivenza e una condotta gravemente pregiudizievole all’integrità fisica.

  • La “convivenza”. L’applicazione delle misure di protezione presuppone che la vittima ed il soggetto cui viene addebitato il comportamento violento vivano all’interno della medesima casa, in quanto l’art. 5 della L. 154/2001 fa esclusivo riferimento al nucleo costituito dai familiari conviventi

Tale considerazione muove dal fatto che gli ordini di protezione non hanno soltanto la funzione di interrompere situazioni di convivenza turbata, ma soprattutto quella di impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito domestico.

  • La “condotta gravemente pregiudizievole all’integrità fisica”. Il presupposto per la concessione dell’ordine di protezione non è rappresentato, in sé, dalla condotta del convivente nei cui confronti si richiedono le misure di protezione, bensì dall’esistenza di un pregiudizio grave all’integrità fisica, “morale” o alla “libertà personale” (come violente aggressioni verbali e minacce di arrecare mali ingiusti) patito dal familiare convivente, imputabile (questo sì) in termini causali alla condotta dell’altro

La circostanza in parola si basa, in altri termini:

sulla esistenza di fatti violenti dai quali siano derivate non insignificanti lesioni alla persona, ovvero di una situazione di conflittualità tale da poter prevedibilmente dare adito al rischio concreto ed attuale, per uno dei familiari conviventi, di subire violenze gravi dagli altri;

sulla verificazione di un vulnus” alla dignità dell’individuo di entità non comune, in relazione alla delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, ovvero per le modalità “forti” dell’offesa arrecata e per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall’offeso, indipendentemente da qualsiasi indagine sulle cause dei comportamenti violenti e sulle rispettive colpe nella determinazione della situazione.

Autore delle condotte pregiudizievoli può essere sia un coniuge (o convivente more uxorio) nei confronti dell’altro (anche con l’appoggio e la partecipazione attiva degli altri familiari) sia il genitore verso i figli (anche quando i maltrattamenti non sono commessi direttamente sulla persona del minore, ma indirettamente, nei confronti di stretti congiunti a lui cari, quali la visione da parte del minore di ripetute aggressioni fisiche alla madre da parte del padre) che questi ultimi verso i genitori.

La condotta pregiudizievole di regola è caratterizzata dal verificarsi di reiterate azioni ravvicinate nel tempo, consapevolmente dirette a ledere i beni tutelati, e non da singoli episodi compiuti a distanza di considerevole tempo tra loro

Il decreto protettivo ex art. 342 ter, c.c. non può essere richiesto nel caso in cui vengano “semplicemente” violati i doveri di mantenimento ex art. 143-147 c.c. in quanto tale comportamento configura una mera condotta omissiva . Allo stesso modo, una misura protettiva non può essere concessa in presenza di una mera situazione di reciproca incomunicabilità ed intolleranza tra soggetti conviventi, di cui ciascuna delle parti imputa all’altra la responsabilità, almeno quando i litigi, ancorché aspri nei toni, non siano stati aggravati da violenze fisiche o minacce o non si siano tradotti in violazione della dignità dell’individuo di particolare entità .

Il decreto protettivo non riguarda da ultimo la disciplina del diritto di visita dei figli da parte del genitore destinatario (Cfr. Tribunale di Reggio Emilia, decreto 16/09/2004, in Corriere del Merito, 2005, 2, 138).

Gli ordini di protezione richiedono l’istanza della vittima, che può essere proposta anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di propria residenza o domicilio, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica.

A seguito dell’istanza, si verifica la designazione – da parte del Presidente del Tribunale – del giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso, il quale, sentite le parti, procede ad istruire la causa nel modo che ritiene più opportuno, disponendo anche eventuali indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio delle parti a mezzo della polizia tributaria.

Il giudice provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo. In caso di urgenza l’ordine di protezione può essere assunto dopo sommarie informazioni, con successiva udienza di comparizione delle parti entro un termine non superiore a quindici giorni, (In tale caso, il giudice assegna all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto) in occasione della quale vi è la conferma, la modifica o la revoca dell’ordine di protezione.

Contro il decreto con cui il giudice adotta l’ordine di protezione o rigetta il ricorso, o conferma, modifica o revoca l’ordine precedentemente adottato, è ammesso reclamo al tribunale entro dieci giorni dalla comunicazione o della notifica del decreto, ai sensi dell’art. 739, comma II c.p.c.

Il reclamo introduce un giudizio avente natura di revisio prìorìs instantiae, con la conseguenza che è inammissibile la produzione di documenti nuovi e la richiesta di assunzione di prove costituende

Il reclamo non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione: il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale (del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato), sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile, nemmeno per cassazione giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività.

Con il decreto di cui all’articolo 342 bis c.c., il giudice ordina al convivente reo della condotta pregiudizievole, la cessazione della condotta e ne dispone l’allontanamento dalla casa familiare

Quali provvedimenti accessori, il Giudice, ove occorra, può:

– prescrivere all’autore della condotta di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima (in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia d’origine, di altri prossimi congiunti o altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentarli per esigenze di lavoro);

– chiedere l’intervento dei servizi sociali, di un centro di mediazione familiare o di associazioni per il sostegno e l’accoglienza di donne, minori o di vittime di abusi e maltrattamenti;

– disporre il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dell’allontanamento dalla casa familiare del reo, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e stabilendo, se necessario, il versamento della somma all’avente diritto da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.

La provvisorietà dell’assegno periodico previsto – la cui funzione ed efficacia è limitata alla durata dell’ordine di protezione o, comunque, al periodo di tempo anteriore all’eventuale provvedimento successivo emesso dal giudice competente, volto a garantire il diritto al mantenimento di soggetti bisognosi – si evince dal tenore testuale del codice (Cfr. Tribunale di Reggio Emilia, decreto 10/05/2007, op. cit.).

Nel caso di condotte pregiudizievoli compiute dai figli verso i genitori, ove il soggetto allontanato non abbia una propria autonomia economica, il giudice deve contestualmente disporre a carico dei genitori l’obbligo di pagamento di un assegno periodico ai sensi degli art. 148 e 342 ter, comma II cc.

Con riferimento all’intervento dei servizi sociali anche in assenza di figli minori, il Giudice può sollecitarlo allo scopo ad esempio di sostenere il coniuge vittima della condotta pregiudizievole e, se possibile, di ricomporre il nucleo familiare, dando assistenza psicologica a ciascun componente della famiglia coinvolta nella vicenda.

Il decreto stabilisce anche la durata dell’ordine di protezione, che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso, e che non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario. La mancata indicazione del termine di durata deve intendersi come implicita previsione del massimo stabilito dall’art. 342 ter c.c.

Fonte: AltalexPedia

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