Divorzio congiunto: si può revocare il consenso prestato?

APS/ febbraio 14, 2020/ Angolo dell'Avvocato/ 1 comments

Il nuovo orientamento della Corte di Cassazione muta una prassi consolidata

Nella famiglia in crisi la sottoscrizione delle intese, sottese alla presentazione della domanda congiunta di separazione e divorzio, è spesso frutto di lunghe trattative concluse con fragili compromessi, a volte dettati dalla necessità di evitare una infinita (e costosa) coda giudiziaria successiva alla fine della relazione affettiva.

Quante volte, infatti, si giunge ad un accordo, sottoscritto dai coniugi e depositato in tribunale, che le parti muoiono dalla voglia di rimettere in discussione, casomai proprio prima della comparizione in udienza, a fronte di una nuova lite della coppia oramai separata di fatto.

Tale eventualità rappresenta una iattura per parti e difensori, spesso costrette a “trattenere il fiato” fino alla comparizione dei riottosi coniugi avanti al Presidente del Tribunale.

La possibilità di revocare il proprio consenso prestato alla presentazione di ricorso congiunto per la separazione consensuale dei coniugi, o per il loro divorzio, è questione alquanto dibattuta in giurisprudenza, tanto da aver determinato l’intervento della Suprema Corte di Cassazione.

Fino a poco tempo fa il consenso delle parti, da intendersi come atto costitutivo dell’accordo, doveva sussistere fino al momento della comparizione delle stesse in tribunale, e poteva dunque essere revocato sempre fino a tale data.

Con una recente pronuncia, invece, la Corte di Cassazione ha mutato orientamento, differenziando in merito alla revoca del consenso a seconda che ciò avvenga all’interno del procedimento di separazione o in quello di divorzio (Cass civ. Ord. 10463/2018). Mentre infatti, nella prima ipotesi, le parti possono, fino all’udienza presidenziale, decidere di revocare l’assenso alla separazione, rendendo nullo il ricorso stesso, nei procedimenti per lo scioglimento del matrimonio la Corte di legittimità ha stabilito come tale circostanza non possa più verificasi sic et simpliciter.

Secondo la Corte, infatti, all’interno del procedimento di divorzio l’intesa raggiunta tra le parti riveste sia natura ricognitiva, cioè diretta alla verifica dei presupposti di legge che devono sussistere per la presentazione della domanda di scioglimento del vincolo, sia negoziale, riferita ai contenuti pattizi dell’accordo (condizioni economiche, assegnazione dell’abitazione familiare, mantenimento).

Il carattere negoziale riconosciuto a tale intesa dalla Cassazione, dunque, equipara l’intesa sottoscritta ad un vero e proprio contratto, rendendo dunque inefficace ogni ripensamento unilaterale.

Presentato il ricorso per divorzio congiunto, dunque, il tribunale sarà comunque tenuto a verificare la correttezza formale e processuale della domanda, nonchè la sua rispondenza ai principi di legge in materia di affidamento e mantenimento della prole, indipendentemente dall’eventuale revoca del consenso prestato da uno dei coniugi, giungendo a recepire la domanda ed emettere sentenza di divorzio anche in presenza di una sola delle parti, come recentemente avvenuto in diversi tribunali come, ad esempio, in quello di Bologna.

Avv. Stefano Cera

1 Comment

  1. con la sentenza di appello mi hanno appena rigettato tutte le mie richieste per avere più giustizia nella ripartizione degli oneri comuni e dell’affidamento dei figli. Ovviamente mi hanno anche accolto le spese processuali.
    Praticamente, come spesso, accade la mia ex moglie si tiene una casa immensa, non paga mutui, pretende il mantenimento e mi mantiene sul lastrico facendo la bella vita. Lo so che è un classico, ma cosa si puo fare?

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