Volontario abbandono del domicilio coniugale e addebito della separazione

APS/ dicembre 13, 2020/ Cassazione, Sentenze Utili/ 0 comments

L’allontanamento dalla casa coniugale prima della separazione è lecito solo nel caso di una grave crisi in atto. La legge infatti non impone di continuare a convivere con il partner anche se la situazione matrimoniale è ormai degenerata in modo irrecuperabile.

Quindi, qualora sussistono motivazioni valide, l’allontanamento dalla casa coniugale è comunque legittimo. E’ punito solo l’allontanamento definitivo, ossia quando il coniuge non ha intenzione di tornare a casa senza un motivo giustificato.

Tuttavia, occorre agire con cautela e dimostrare che l’allontanamento è la soluzione migliore proprio perché la convivenza non può più andare avanti.

Se un coniuge si allontana dalla casa familiare senza una giusta causa o senza il consenso dell’altro, confermando la volontà di non fare più ritorno, viola l’obbligo di coabitazione. In questo caso, l’altro coniuge può ottenere la separazione e chiedere al giudice che ne addebiti la causa all’ex, e quest’ultimo non può pretendere il mantenimento anche se ha un reddito più basso.

Con ordinanza n.27235  del 2020 la Corte di Cassazione , sez. I civile, Presidente dott. Genovese, Giudice Relatore dott.ssa Iofrida, ha confermato l’addebito di una separazione a un marito che aveva abbandonato il tetto coniugale escludendo che la crisi del rapporto coniugale potesse essere addebitato all’ingerenza dei suoceri riguardanti, tra l’altro, le scelte terapeutiche riguardanti la figlia affetta da autismo, ma piuttosto al disinteresse del marito di tale grave patologia di cui era affetta la figlia emerso dalle risultanze istruttorie (insindacabilmente) apprezzate dai precedenti giudici merito.

Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Tribunale di Roma che, pronunciandosi sulla separazione personale dei coniugi, aveva accolto la domanda di addebito a carico del marito, l’obbligandolo altresì a corrispondere all’ex moglie un assegno mensile di mantenimento. La Corte d’appello di Roma, rigettando il gravame del marito, aveva poi confermato le statuizioni relative all’addebito.

Il marito, da ultimo, ricorrendo in Cassazione, aveva denunciato violazione e falsa applicazione dell’ art. 151 comma 2, c.c. in punto di addebitabilità della separazione, dolendosi in particolare per non aver la Corte di merito valutato attentamente il contenuto delle diverse deposizioni testimoniali, dalle quali sarebbe, in realtà, emerso che la frattura coniugale era da ricollegare alla eccessiva ingerenza dei genitori della moglie, non sufficientemente contrastata da quest’ultima.

La Suprema Corte rigettava il ricorso del marito, rilevando come un nuovo accertamento di merito sui presupposti della pronuncia di addebito avrebbe l’esecuzione di un nuovo accertamento di fatto precluso in sede di legittimità.

In punto di diritto la Corte di legittimità ha quindi confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale «l’abbandono della casa familiare, di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale, a prescindere dalla prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Difatti, il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che chi ha posto in essere l’abbandono provi che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto».

Fonte:osservatoriofamiglia.it, quotidianogiuridico.it

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