Presupposti ed effetti dell’addebito della separazione

APS/ gennaio 24, 2024/ Da sapere/ 0 comments

Il Giudice, nel pronunciare la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e sia avanzata espressa richiesta, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

La pronuncia di addebito presuppone una valutazione discrezionale a opera del Giudice, con riferimento alla violazione dei doveri matrimoniali da parte di uno o di entrambi i coniugi: detta valutazione deve comprendere il complessivo comportamento dei coniugi.

I comportamenti sanzionabili con l’addebito della separazione riguardano:

– la violazione dell’obbligo di fedeltà;
– la violazione dell’obbligo di coabitazione;
– la violazione dell’obbligo di assistenza e di collaborazione;
– la violazione dell’obbligo di contribuzione;
– la violazione del rapporto genitori-figli.

La pronuncia di addebito determina:

a. la perdita del diritto all’assegno di mantenimento;
b. la perdita dei diritti successori nei confronti dell’altro coniuge, fatta eccezione per in assegno vitalizio a carico dell’eredità se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti versati dall’altro coniuge.

L’art. 143 c.c. al comma 2, individua tra gli obblighi discendenti dal matrimonio quello alla reciproca fedeltà, assieme ai doveri di assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Si ricorderà come, a seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975, l’obbligo di fedeltà sia stato collocato al primo posto del menzionato elenco. Tuttavia, nonostante questa particolare rilevanza, il legislatore non offre una precisa definizione della nozione di fedeltà, affidandosi quindi all’evoluzione interpretativa del concetto. Da un lato vi è chi, ancora oggi, è ancorato a una definizione essenziale, per la quale il dovere di fedeltà consiste nell’obbligo per i coniugi di astenersi da relazioni e atti sessuali extraconiugali.

Dall’altra, invece, si offre un’interpretazione evolutiva, in considerazione del costume sociale, per la quale la fedeltà coniugale è svincolata dalla sfera meramente sessuale, in un’ottica estensiva volta a includere in modo più comprensivo l’impegno di devozione rispetto a ogni ambito della vita familiare, in una prospettiva che si avvicina all’ambito della lealtà e dell’assistenza morale e materiale (cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1998, 355).

Tale seconda interpretazione pare anche confermata dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 11 giugno 2008, n. 15557 in Nuova giur. civ. comm., 2008, 1286, secondo la quale “in un rapporto matrimoniale, la fedeltà di affetti diventa la componente di una fedeltà più ampia, che si traduce nell’obbligo di non ledere la dignità e il decoro del coniuge”), secondo la quale l’obbligo di fedeltà “è un impegno globale di devozione che presuppone una comunione spirituale tra i coniugi volta a garantire e consolidare l’armonia interna tra essi. In tale ambito, la fedeltà sessuale è solo un aspetto, anche se assai rilevante”. In altri termini, il concetto di fedeltà è mutato nel tempo, passando da uno strumento di “garanzia di certezza legale sulla paternità dei figli avuti dalla moglie in costanza di matrimonio a elemento che rappresenta la lealtà e il rispetto della persona con la quale si è scelto di condividere la vita” (Vadalà, Obbligo di fedeltà, in Il nuovo diritto di famiglia, a cura di Cagnazzo – Preite – Tagliaferri, I, Milano, 2015, 478, che evidenzia come “la fedeltà deve essere intesa come rispetto, come attività propositiva di modelli di vita in comune e non come semplice astensione da relazioni extraconiugali in una posizione espansiva e non limitativa del rapporto matrimoniale.”).

Da ciò discende che la “violazione dell’obbligo di fedeltà può assumere rilievo anche in assenza della prova specifica di una relazione sessuale extraconiugale intrapresa da un coniuge, essendo sufficiente l’esternazione di comportamenti tali da ledere il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi ferendo la sensibilità e la dignità di colui o colei che subisce gli effetti di quei comportamenti.” (Cass. Civ., Sez. I, 7 settembre 1999, n. 9472, in Foro it., 2000, 2277, con nota di G. Casaburi e in Giur. it., 200, 1165, con nota di O. Castagnaro, per la quale “l’infedeltà di uno dei coniugi può integrare violazione dei doveri che nascono dal matrimonio anche se dovesse essere rimasta allo stato di semplice tentativo.”).

Rimane infine da sottolineare come questo percorso evolutivo della nozione dell’obbligo di fedeltà non sia stato inserito dal legislatore nella disciplina delle unioni civili (art. 1, comma 1, L. 20 maggio 2016, n. 76), ciò che lo rende, quindi, una caratteristica esclusiva del matrimonio.

Fonte: IlSole24Ore

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